http://www.veronese.ch
alberto (at)veronese (dot) ch
racconti
|
|
Recensione di Grazianna Serenova
Alberto Veronese - Impressionista
della scrittura
Aprendo un qualsiasi libro di storia dell'arte e andando a leggere
il capitolo sul Realismo e sul successivo Impressionismo è
facile imbattersi in frasi che descrivono il Realismo come la
"traduzione fedele delle qualità del mondo reale nella
rappresentazione artistica." Questo interesse dei pittori realisti
per la contemporaneità, la loro volontà di cogliere
il presente, si trasformerà, per i protagonisti
dell'Impressionismo, nel desiderio di appropriazione dell'istante:
basti pensare alla vivacità istantanea delle pose nelle
ballerine di Degas, o gli scorci dall'alto o dal basso con i quali
egli ritrae e "taglia" lo spettacolo.
Istantanei sono anche i racconti di
Alberto Veronese, spettatore oggettivo, talvolta impietoso, della
vita moderna, nella quale egli sa cogliere un'inconsueta, a volte
un po' amara verità. Leggere i suoi racconti è come
leggere un foglio trovato per caso in un cassetto e chiedersi dove
siano rimasti il foglio precedente e quello successivo. Spesso i
suoi racconti sembrano non avere né inizio, né fine.
Lasciano il lettore perplesso, a volte sconvolto, addirittura
profondamente offeso, ma, soprattutto, lasciano il lettore sospeso
in una sorta di angosciosa aporia del nulla.
I racconti di Alberto Veronese sono
fotografie. Fotografie scattate con una di quelle macchinette di
plastica "usa e getta" tanto amati dai dilettanti; scattati da una
mano incurante della luce o dell'inquadratura. Importante è
solo il soggetto, in quel momento, in quel preciso istante. Il
modello non è truccato e non è in posa, nemmeno sa di
essere ripreso.
Come nel pianto di Sara, un racconto
brevissimo, una poesia? Vediamo Sara che piange per il figlio
abbandonato sotto un cespuglio. Nulla sappiamo della sua vita
precedente e nulla sapremo della sua vita futura. Ma ha importanza?
Sara piange e viene ripresa nel suo pianto. Un millisecondo
d'immagine apparentemente inutile, senza senso. Eppure questo non
senso dell'immagine ci turba, vorremmo ignorarlo, liberarci dal
dubbio che lentamente si insinua nei nostri cuori, dimenticarci di
Sara. Come ci dimentichiamo delle migliaia di Sara che ogni giorno
piangono per un bimbo che hanno dovuto abbandonare o per i
maltrattamenti che hanno subito e che vivono invisibili e ignorate
insieme a noi. Ed ecco che il prima e il dopo perdono importanza,
si dissolvono in migliaia di prima e di dopo diversi. Finto
moralismo? No. Semplice istantanea di una realtà che si
preferirebbe tener nascosta.
Si pensi anche ad Amore cinico. La storia
di un uomo a caccia della donna più bella del mondo. Un
fotogramma di un uomo alla ricerca dell'amore. Ha importanza sapere
chi è lui o chi è la donna amata? No. L'istantanea
non riprende i protagonisti, si sofferma, invece, sulla ricerca e
sull'amore visto come puro atto di compra-vendita.
Alberto non esprime giudizi, in nessuno
dei suoi racconti. Giusto o sbagliato, morale o immorale, a lui
sembra non interessare. Lui riprende e ci propone brevi flash di
realtà; così come sono. E per quanto assurdi i suoi
racconti possano a volte sembrare, non è forse la stessa
realtà ad essere spesso assurda, incomprensibile,
violenta?
In Davanti la TV, il protagonista muore
con la scadenza del canone gratuito per l'impianto satellitare.
Impossibile? In una società in cui la vita si svolge sempre
più davanti la TV, in cui i protagonisti dei telefilm o i
presentatori dei programmi d'intrattenimento si sostituiscono agli
amici reali, l'oscuramento dello schermo non equivale forse ad una
sorta di morte sociale?
E si potrebbe continuare citando Il cuore
in frigo. Certo, l'idea di un uomo che vive con il suo cuore in
frigorifero, cuore che alla fine del racconto verrà gettato
al gatto che molto probabilmente lo divorerà, è senza
dubbio un'immagine surreale, assurda. Ma non siamo forse in molti a
nascondere il nostro cuore? Lo teniamo al sicuro per paura che
possa essere ferito; e quanti di noi non hanno mai temuto che
questo nostro cuore venga dato in pasto, dilaniato, ucciso? E non
è forse vero che al nostro grido d'aiuto la società
ci invita a curarci con pseudo pillole miracolose che si rivelano
spesso molto poco efficaci?
Tanto più surreali e impossibili
si presentano i suoi racconti, tanto più evidente è
il loro messaggio. Eppure è proprio qui che il lettore corre
il pericolo di inciampare e di precipitare in un'inutile ricerca di
un qualche significato nascosto, recondito. Alberto non chiede di
scavare a fondo, chiede, piuttosto, di dare ascolto a quelle
immediate sensazioni personali che il racconto riesce a provocare;
il senso di disperazione e di amarezza che ci invade leggendo Non
sarai ancora tu, la paura della sconfitta e la consapevolezza che
non vi può essere riscatto che ci coglie ne Il pugile, ma
anche la tenerezza che proviamo per la dolce Caterina ne Il
contadino Ernest, o la compassione e la mestizia che sentiamo alla
fine del racconto Sotto la neve.
Le storie di Alberto sconvolgono,
sconquassano l'animo del lettore e lo turbano. I suoi racconti sono
schiaffi di consapevolezza; fanno emergere a galla sentimenti che
preferiremmo tenere nascosti, emozioni che vorremmo non dover
affrontare.
Alberto riesce in questo intento, non
solo grazie alla spesso inquietante psicologia dei suoi personaggi
o alla trama, talvolta assurda, attraverso la quale si snodano i
racconti, ma anche aiutandosi con una consapevole scelta delle
parole. Il suo linguaggio può sembrare eccessivo,
irriverente, talvolta volgare e blasfemo. Eppure, accusarlo del suo
linguaggio equivale ad accusare la società dalla quali lui
prende le parole. In nessuno dei suoi racconti, il lettore
troverà una selezione di termini rari o particolari. Le sue
sono frasi che si sentono e si leggono tutti i giorni, nei
giornali, in televisione, nelle scuole e nei locali. Lui scrive in
una lingua semplice, quotidiana, cruda. Cruda come l'esistenza dei
suoi personaggi. Assurdo? Chi urla "Impossibile!", non vive su
questo mondo.
Grazianna Serenova, 11 marzo 2005
Recensione di Vito Robbiani
Quando il mio amico Alberto mi ha detto che dalla
pubblicazione on-line dei suoi racconti sarebbe passato alla
più tradizionale stampa atomica, mi sono subito offerto di
correggergli le bozze.
Ho preso il manoscritto con me durante un viaggio in barca a vela:
Elba, Corsica, Sardegna. Luoghi incantevoli che forse mi avrebbero
dato la tranquillità e la calma necessaria per leggere le
tragedie dei personaggi di Alberto. Ma soprattutto ho avuto
l'occasione di leggere ad alta voce i suoi racconti e le tragedie
si sono trasformate in commedie, frammenti di vita incompiute che
hanno fatto ridere, strabuzzare gli occhi e indignare il mio
auditorio velista.
Apparentemente i racconti sono uno dissociato dall'altro, ma se ci
si lascia coinvolgere e trasportare si coglie una tela di fondo e
questi brevi appunti giornalieri disegnano una grande storia,
quella incredibile e inafferrabile della vita; frammenti di storie,
pagine di parole raccolte nel vento, trovate in spiaggia, su un
metrò, su internet o lungo una strada bagnata.
Storie di cui non sapremo mai la fine, ma che infondo, ci
assomigliano.
L'autore ci presenta dunque una collezione di vicende umane frutto
delle sue esperienze e delle sue più incredibili fantasie.
Schegge di storie, immagini sovrapposte, racconti non finiti, come
infondo sono le storie vissute da chi effettivamente le vive.
- "Alberto, ma in spazio di 5 pagine ho contato 13 morti!"
- "Siamo esseri mortali."
- "Questa parte, l'editore te la censurerà! Qui, diventi
troppo sconcio, è quasi pornografico..."
- "L'avessi un editore!"
- "Scusa ma che cosa volevi dirmi? Perché, non hanno mai
una fine le tue storie?"
- "Perché le tue hanno una fine?"
Alberto è un uomo d'immagine più che di parola
(infatti, io l'ho conosciuto come regista e poi fotografo). Non
è mai stato legato ad una lingua particolare, nato a
Treviso, trapiantato immediatamente in Norvegia, Sud-Africa e poi
trasportato, dal padre ingegnere, nei 4 angoli del pianeta, ha
imparato a parlare per immagini e anche quando si prodiga nello
scrivere è l'immagine che rende nitida la sua storia. Per
questo gli si può perdonare una certa innocenza nello
scrivere che si scontra con la determinatezza e crudeltà dei
suoi personaggi: attori che Alberto ci scaraventa contro,
lasciandoci il dubbio che ad ispirarlo siamo stati noi; con le
nostre debolezze, paturnie, manie, cattiverie, odi e
stravaganze.
Buona visione a tutti.
PS: Il mio racconto preferito è SUSANNA
Vito Robbiani, 21 agosto 2005
|